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LAGO FUSARO

L’analisi delle testimonianze storiche e archeologiche di un territorio antico, o anche di una sua parte, costituisce sempre, per gli archeologi, una entusiasmante occasione di nuove scoperte, considerazioni e ipotesi per arrivare, sulla scorta di dati oggettivi, desunti da ricognizioni, valutando tutte le tracce e i segni superstiti dell’assetto originario, come nel caso di un bel mosaico allo stato frammentario, cui manchino delle parti o degli elementi, ma di tipo unico, che nello stesso tempo richiede l’applicazione di una "fantasia" oggettiva e, in quanto tale, priva di aspettative predeterminate, per ricostruirne proprio le parti mancanti.

Da quando l’archeologia è diventata una scienza e una disciplina di studio, che si avvale oggi anche di raffinati apporti tecnologici, accade che il periodico riesame nel tempo di uno stesso argomento, reperto o territorio ne accresca ovviamente la nostra conoscenza. E’ proprio, a parere di chi scrive, quello che sta avvenendo oggi anche per l’area del Lago Fusaro, dove la ricerca archeologica è ripresa dopo ca. 14 anni dagli ultimi studi (Borriello, D’Ambrosio, 1979), che hanno consentito un primo censimento dei resti archeologici allora individuati, ubicati nell’area che circonda il bacino.

L’entusiasmo per tutti i nuovi dati che, sostanzialmente dal 1993 a oggi, sono stati costantemente raccolti accanto ai precedenti, non deve tuttavia fare dimenticare la causa di tale apparente "letargo": questo è infatti attribuibile, principalmente, a parere personale, non alla mancanza di interesse, sempre desto e vigile, per le vicende del lago, la sua tutela e salvaguardia, in occasione anche di lavori pubblici e privati ad esso relativi, ma per i fondi, sempre scarsi, destinati alla ricerca negli anni precedenti e per il fatto che solo in tempi assai recenti il Fusaro è stato finalmente e giustamente compreso tra le aree dei Campi Flegrei da valorizzare, tutelandole, e, conseguentemente, da meglio conoscere, affinché ciò si verifichi.

Com’è noto, lo specchio acqueo del Lago Fusaro, ubicato nel settore nord-ovest del Comune di Bacoli, il cui territorio ricade nel comprensorio flegreo, si estende nell’area limitata a nord dal Monte di Cuma, a sud dal Monte di Procida, a ovest dalla barra di dune sabbiose, che lo separa dal mare, a est dalle alture della collina dello Scalandrone, prospicienti a semicerchio il bacino, fondo di un ampio teatro naturale, posto sulla scena della distesa marina, con le isole di Ischia e Procida sullo sfondo.

Dal punto di vista geologico il lago deriva da una formazione vulcanica solfatarica, di forma circolare in origine e di diametro maggiore dell’attuale, rotta in seguito alla ingressione del mare. Tale origine è provata dalla presenza di fumarole ed esalazioni sulfuree sulle colline a nord-est del Fusaro, in località "Mofeta", già note nel 1966, ma studiate dal 1980 in poi, e dalle grosse falde d’acqua termale, scoperte pure negli anni ’60, che scorrono a -30/-60 m ca. sotto il fondo del lago verso Ischia, attraversando il Canale di Procida.

Lago Fusaro

Ricadente nella chora (territorio) meridionale dell’antica Cuma (Kyme in Greco, Cumae in Latino), polis fondata da coloni Greci, provenienti dall’isola Eubea, nel 730 a.C., il Fusaro era per gli antichi l’Acherusia Palus, la mitica palude infernale, generata dal fiume Acheronte. Il nome è attestato per la prima volta già nel III sec. a.C. nel poema Alessandra di Licofone di Calcide (vv.694-709), che lo definì "fluttuante e procelloso", forse a causa delle onde spumose generatevi, nei giorni di maltempo, per i fondali, già allora bassi.

Nelle età greca e sannitica della città, infatti, e ancora in età romana, fino alla metà ca. del I sec. d.C., il bacino doveva verosimilmente presentarsi nell’aspetto di un ampio golfo del mare, su cui si apriva a ovest completamente, lato sul quale, come attesta il geografo Strabone (V,4,5) e se l’interpretazione è giusta, era tuttavia guadabile. E’ probabile, inoltre, che la stessa scarsa profondità dei fondali e la maggiore lontananza dalla loro città, ne sconsigliassero l’uso come approdo ai Cumani, che utilizzarono, forse, l’insenatura posta a sud-est del Monte di Cuma, acropoli della città, ma certamente, come documentano indagini geoarcheologiche recentemente effettuate e altre in corso, l'ex Lago di Licola, ubicato a nord della colonia, dalle cui mura le sue rive e acque non dovevano essere forse molto lontane.

Gli studiosi ipotizzano inoltre che, per le sue acque molto tranquille, il Fusaro sia stato utilizzato in età pre-greca dagli indigeni che abitavano il Monte di Cuma, gli Opici/Osci, originari abitatori di questa e di altre aree della Campania antica, per coltivarvi mitili a scopo alimentare, già prima della fondazione di Cuma. Il mitilo, infatti, tipico prodotto marino locale, ricorre costantemente sul rovescio delle monete cumane, come segno distintivo e caratterizzante della polis e del luogo, uso ricorrente, con diversi simboli locali, nelle monete di altre colonie greche della Magna Grecia e della Sicilia.

Sondaggi geoarcheologici, effettuati sul lato sud-est del lago in occasione di recenti lavori pubblici, documentano comunque la frequentazione in età greca delle sue sponde, per la presenza di frammenti ceramici a -5 m ca. dal piano attuale, e successivamente in età romana, per la presenza di materiali analoghi a -2 m ca. Ed è proprio in quest’ultima epoca che le alture circostanti si andavano riempiendo sia di insediamenti rurali, sia di lussuose ville di aristocratici romani, dei cui proprietari non conosciamo purtroppo i nomi, che sfruttarono l’amenità, la bellezza e le risorse del luogo.

I cospicui resti dell’unica, di cui si conosca invece con certezza il nome dell’originario proprietario, si trovano sul piccolo promontorio di Torregaveta, posto a sud-ovest del lago, quasi a chiusura dello stesso: sono inerenti alla villa marittima di Publius Servilius Vatia, un aristocratico personaggio romano, vissuto sotto l’impero di Augusto e di Tiberio, di cui parla lo scrittore Seneca (Ep.LV,2), lodando l’amenità del sito, la bellezza e le qualità della villa, ma soprattutto elogiando la scelta e lo stile di vita di Vatia, il quale, abbandonata la vita politica, ci si ritirò addirittura a vita privata, dando prova di saggezza.

I resti archeologici furono scoperti nel XVI sec. sul promontorio, durante i lavori per la realizzazione di una torre costiera di guardia, in funzione antisaracena, oggi scomparsa. Il sito era allora denominato "S. Pietro a pertùso", dalla presenza della sottostante galleria romana tagliata nel tufo; da questa deriva pure il toponimo moderno, successivo alla realizzazione della torre, "Torre della gàveta" o di "gaveta", cioè della cunetta o canale, come in dialetto era chiamata la medesima galleria, detta oggi Foce Vecchia.

Lago Fusaro

Altri resti antichi sono tuttavia estesi anche nel mare, individuati da ricerche archeologiche subacquee, condotte nel 1995 sui fondali circostanti il promontorio. La loro presenza documenta una fase di sommersione del sito, per bradisismo e/o subsidenza, già verosimilmente in atto dalla fine del II sec. d.C., a giudicare dall’assenza di strutture murarie dì età successiva. E’ inoltre degno di nota il confronto tra i testi di Strabone e di Seneca: quest’ultimo descrive la stretta spiaggia, che si incurvava tra Cuma e la villa, separando il Fusaro dal mare. Sappiamo così che nei ca. 40 anni trascorsi tra la morte di Strabone (20 d.C. ca.), che descrisse l’Acherusia palus, e la visita di Seneca alla villa (60/65 d.C.), si dovette formare la barra dunare, oggi più ampia, che separa il lago dal mare. Dopo la sua formazione il ricambio d’acqua fu verosimilmente garantito al lago aprendo un canale al centro del lato ovest, dal momento che la Foce Vecchia del Fusaro altro non è se non una strada in galleria, tagliata nel tufo del promontorio e oggi sommersa nel mare, che consentiva l’accesso alla villa nel suo complesso dalla spiaggia e dall’antistante approdo, riparato da un molo.

Le fonti storico letterarie tacciono invece completamente sui nomi dei proprietari delle altre ville d’ozio di questa zona, che pure, a giudicare dalla localizzazione ed estensione dei resti di alcune e dal numero di quelle finora individuate, non dovettero essere né scarse, né irrilevanti. Molto interessanti appaiono, infatti, a tale proposito, anche i resti di un’altra villa d’età romana, di cui emergono numerose strutture, sparse sui terrazzamenti delle alture site sulle sponde orientali del lago, in corrispondenza delle "Grotte dell’Acqua". Così infatti sono popolarmente denominati i due ambienti rettangolari coperti a volta di età romana, nel maggiore dei quali sgorga di nuovo una fonte termale, creduta scomparsa in occasione di recenti lavori nella strada sita a monte, che sembravano averne interrotto il flusso.

Durante il regno di Carlo III di Borbone il Lago Fusaro, insieme ai fondi della Rocca di Cuma e al Lago di Licola, fu compreso, com’è noto, nell’esteso sito reale di caccia e pesca, detto "Pineta del Fusaro".

Nel 1782, durante il regno di Ferdinando IV, nell’ambito delle opere edilizie che impreziosirono lo specchio d’acqua, i due ambienti romani, già evidentemente molto in rovina, furono inglobati nelle strutture murarie a blocchetti di tufo di tradizione locale, ancora oggi visibili, benché molto degradate, allo scopo di preservare e valorizzare le strutture antiche. Ciò fu dovuto essenzialmente alla presenza delle acque termali, che nei Campi Flegrei, a partire dal Medioevo, furono sempre utilizzate gratuitamente dalla popolazione locale per uso terapeutico.

Testimonianze orali, raccolte nella zona da persone anziane, oltre ad attestarne un uso ancora recente, almeno fino al 1930/1940, attribuivano a tali acque, già analizzate nel 1967 e definite del tipo iperclorurato-sodiche, virtù connesse alla guarigione della sterilità femminile, mediante i bagni.

La strada attuale, che fu realizzata solo dopo la metà del XIX sec., taglia in due parti disuguali il complesso archeologico, il cui originario accesso doveva certamente trovarsi a monte da una strada ad andamento collinare, che, uscendo a sud da Cuma, si dirigeva verso Baia e Misero. Nel 1997, con fondi del Centro Ittico Tarantino Campano, si provvide a prime opere provvisionali alle "Grotte dell’Acqua", per scongiurare il crollo ed evitare pericolo verso terzi su Via Cuma, effettuando, anche in tale occasione, alcuni saggi di scavo archeologico tesi alla conoscenza del monumento, alle vicende del suo interro e a comprendere anche se le acque termali, che danno il nome al monumento, fossero già state adoperate in età romana, cui datano gli ambienti, o solo successivamente. […]

Casina Vanvitelliana Fusaro

Sempre a età romana datano numerosi resti di edifici, quali: muri di terrazzamento, cisterne, ambienti spesso inglobati nelle masserie del XVIII-XIX sec., basamenti, cunicoli, ubicati in diversi punti e a varie quote sulle alture circostanti lo specchio lacustre del Fusaro. La loro presenza consente di individuare e localizzare ovviamente altre ville, oltre a quelle descritte, talune, come pare, di notevole estensione, nelle cui aree, tuttavia, la ricerca è solo allo stato iniziale, ma sufficiente per confermare l’eccezionale interesse storico archeologico di questa parte del territorio di Bacoli, finora alquanto trascurata e quasi offuscata dalla fama di altre vicine.

Il rinvenimento inoltre, nel 1761, forse sul lato est del lago, di due rilievi marmorei con triremi (ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli), parti di un monumento funerario; quello, sullo stesso lato, nel 1842, di un mausoleo romano a base quadrata e cupola circolare, del II sec. d.C., attribuibile alla gens Grania, ubicato lungo l’attuale Via Virgilio; quello, nel 1987, alla base di Via Bellavista, di alcune tombe "alla cappuccina" del I sec. d.C. e le sepolture del IV sec. d.C., rinvenute in anni recenti lungo le attuali Vie Virgilio e Bellavista, coincidono evidentemente con tratti di un asse extraurbano, d’età romana, ma forse anche più antico, che collegava Cuma e Misero, passando alla sommità delle colline di Baia, dov’erano ubicate altre ville.

E’ ancora degno di nota che, nel 65/68 d.C., ultimi anni del regno dell’imperatore Nerone, il lago fu inserito nel progetto della Fossa Neronis (Canale di Nerone), canale navigabile, ampio nelle intenzioni 60/65 m ca., che avrebbe dovuto congiungere la foce dell’Istmo di Corinto (parte del medesimo progetto), ma abbandonato in seguito alla rivolta di Vindice, doveva accelerare i rifornimenti dall’Oriente di grano e altri alimenti per l’Annona di Roma, per distribuirli alle masse proletarie e sottoproletarie urbane.

I laghi e le lagune costiere lungo le coste laziali e campane crearono condizioni favorevoli al progetto. Tracce cospicue e significative dell’ultimo tratto di tale opera sono oggi in località Fossa del Castagno, sito a nord-est del Fusaro. Ivi, infatti, è ancora riscontrabile nell’orografia del terreno l’ampia trincea del canale, tagliato nel banco di tufo e pozzolana e orientato est-ovest, che doveva collegare le acque del Fusaro e del Lucrino.

L’attuale nome del lago, infine, deriva come sembra, dalla destrutturazione d’età post-classica, subita anche da quest’area: nel Medioevo il bacino divenne un infusarium, luogo per macerarvi canapa e lino; il nome, da generico, divenne col tempo toponimo, Ifosarium, poi Sfosarium, in età angioina già Fusarium o Fusaria. Fusari erano peraltro detti allora in Campania i corsi d’acqua destinati alla macerazione di canapa e lino.

Un documento del 15 maggio 1122, citato da R. Annecchino, cita però il lago con un altro nome, Laquiluza, alterazione fonetica del latino Acherusia, e nel XVII sec. il Fusaro divenne addirittura "Lago della Cosuccia" o "di Coluccio". Lo studioso puteolano rapportava inoltre al ricordo dell’Acherusia palus la denominazione dialettale moderna ‘ncopp ‘o ‘nfierno, data ancora oggi all’estremità della collina di Monte di Procida, che prospetta il Fusaro.

Dr. Paolo Caputo

Archeologo, Direttore dell’Ufficio Archeologico di Cuma e del Gruppo Archeologico Subacqueo della Soprintendenza Archeologica delle Province di Napoli e Caserta.

Pubblicato su "Centro Ittico Campano - Le grotte dell'Acqua, intervento di salvaguardia e valorizzazione - recupero di una memoria" Giugno 2001 a cura del Centro Ittico Campano S.p.A.

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