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ANFITEATRO FLAVIO

… La tradizione popolare collegò il devoto ricorso dei suoi martiri (il vescovo Gennaro, i diaconi Procolo, Soss[i]o, Festo, nonché i laici Desiderio, Eutichete ed Acuzio) all’anfiteatro flavio, da allora chiamato “Carcere di San Gennaro”, in memoria del Santo e dei suoi Compagni. Ciò riferiscono concordi tutti gli storici di Pozzuoli.

… Romanelli, autore di una eccellente guida ottocentesca, segnala che: “Volgendo a destra per altra via, che dicevasi Campana, si arriva all’Anfiteatro puteolano. E’ noto col nome di Carceri perché qui fu rinchiuso San Gennaro coi suoi compagni per essere esposto alle fiere. Dopo pochi passi per una vigna si vede a diritta un grande ammasso di mura in opera laterizia composta di piccoli mattoni, di un lavoro il più solido. I gran pilastri degli archi in tutto il suo giro esteriore poggiano sopra pezzi grossissimi di pietre vulcaniche, posti l’un su dell’altro senza calcina, e senza esterna decorazione, come quella fabbricazione, che da Vitruvio si chiama incertum. Secondo un’antica tradizione, fu racchiuso in certe camere il vescovo San Gennaro coi suoi compagni. Il luogo è oggi venerato per una cappella, che vi è stata eretta. In fuori di questo pezzo, tutto è ruina”.
Nella testimonianza del Romanelli echeggia ancora amara la constatazione di un abbandono e di uno squallore, in cui ignoranza e barbarie avevano ridotto il celebre Colosseo di Pozzuoli […]. Era convinzione degli studiosi che non lontano vi fossero i ruderi del teatro coperto e di quello scoperto dell’antica Puteoli. Si sa che la moderna archeologia ha invece ravvisato nelle più antiche rovine, nei pressi del cavalcavia ferroviario della Solfatara, la testimonianza di un anfiteatro di età augustea. […]

L’espansione urbanistica, commerciale e demografica di Puteoli rende angusto e impraticabile il vecchio anfiteatro. Ne occorre uno capace di accogliere la domanda di maggiori svaghi che viene dalla popolazione residenziale, ma anche dai numerosi visitatori, marittimi e uomini d’affari, che provengono da fuori.

Nasce così l’anfiteatro maggiore di Pozzuoli. Un autentico gioiello, che i bravi architetti di Vespasiano, gli stessi del Colosseo di Roma, costruiscono in opus reticulatum e in laterizio. Il suo sfarzo e la sua estensione subito lo vedono al terzo posto in un’ideale graduatoria, dove il primo posto è occupato dal Colosseo e il secondo dal Campano di Capua; ma è certamente davanti agli anfiteatri famosi di Verona e di Pompei, di Fidene (crollato ai tempi di Tiberio per il sovraccarico di spettatori!) e di Tusculo, di Terni, di Sutri, di Cagliari e di Piacenza (andato in fiamme per le sue strutture di prezioso legno). Né ha troppo da invidiare alle arene di Arles, Lione e di Cartagine. Misura metri 147 x 117,44 con l’arena di metri 72,22 x 42,33.

Il Flavio di Pozzuoli fu forse inaugurato da Tito, poco tempo dopo che quest’imperatore inaugurasse il Colosseo. […]
Un portico ellittico poggiava su una platea di travertino, rialzata di un gradino dal livello stradale, per girare intorno all’edificio. Da questo portico si accedeva ai vari ingressi dell’anfiteatro. Gli ingressi erano quattro principali e dodici secondari e consentivano un rapido afflusso e deflusso degli spettatori.
Tre erano le precinzioni cioè gli ordini dei posti, divisi in cunei. Dal portico esterno partivano venti rampe di scale, che portavano alla precinzione più alta (la terza) della gradinata. Si poteva direttamente salire ai vomitori o arrivare invece alla galleria del piano superiore, per poi passare ai vomitori. Anche la seconda precinzione e la prima erano raggiungibili dal portico esterno, arrivando all’ambulacro intermedio attraverso facili rampe. Alla seconda precinzione si poteva accedere anche mediante scale dai fornici intermedi dei quattro ingressi maggiori. Scorre sotto il podio un corridoio più interno, destinato ai servizi, con varie aperture sull’arena. Nelle arcate sotto la cavea oltre all’emiciclo, riservato al culto imperiale e alle divinità protettrici dei giochi, vi erano anche sacelli e sedi di corporazioni: come quella degli scabillari e quella dei naviculari, la potente centrale degli operatori marittimi.

Notevole anche l’iscrizione a Caio Stonicio Trofimiano, certamente un pezzo da novanta della società puteolana di allora. Al di sopra della terza precinzione correva una lunga fila di bianche colonne di marmo con motivi decorativi. La loggia dell’attico, abbellita da statue e da altri elementi marmorei, fu demolita nel Medio Evo per finire pezzo a pezzo nelle fornaci, che fornirono calce ai costruttori dell’epoca. Le ceneri dell’eruzione del 1158, nonché il continuo afflusso di materiali alluvionali hanno permesso di preservare gli elementi architettonici dei sotterranei, così da permetterne una lettura chiara sul funzionamento degli spettacoli, specie delle venationes (cacce con bestie feroci).

Pochi giorni prima dei ludi (giochi - N.d.R.) venivano trasportate e custodite le fiere nei sotterranei nonché tutte le apparecchiature mobili necessarie, per il sollevamento in superficie delle bestie chiuse nelle gabbie e sollevate sino alle apposite aperture, che immettevano nell’arena, mediante speciali macchine ed argani dal Dubois illustrati nella sua opera.

Pozzuoli

La pianta anfiteatrale era molto semplice: due lunghi corridoi rettilinei correvano sotto gli assi maggiore e minore, che s’incrociavano al centro ed inoltre un ambulacro scorreva lungo il muro dell’arena. L’arena, divisa in quattro settori, era scompartimentata in ambienti comunicanti tra di loro. La grande fossa rettangolare al centro, che misura 43 metri, serviva per l’allestimento delle scenografie gigantesche, nelle manifestazioni celebrative, di eventi politici o militari da solennizzare con parate, improvvise proiezioni su piattaforme, apparizioni di gruppi di gladiatori, cori in costume portati sulla superficie con ascensori camuffati di cartapesta, dipinta con motivi floreali o marziali. 
Questi capolavori di tecnica e di fantasia suscitavano meraviglia ed entusiasmo: Pozzuoli doveva avere sicuramente una particolare capacità in questo settore dello spettacolo, anche per le sue tradizioni di città greca, come Napoli. Invece l’Anfiteatro Flavio non fu mai usato, né poteva essere usato per le naumachie (battaglie navali – N.d.R.), nonostante il diverso avviso di Dubois. Amedeo Maiuri ha smontato la tesi del Dubois con precise argomentazioni tecniche, fondate sulle strutture dell’arena inadatte alle rappresentazioni navali.

Va anche osservato che, oltre alla limpida confutazione del grande Maiuri, dalle fonti letterarie apprendiamo che le naumachie nei Campi Flegrei avevano già una sede attrezzata per il loro svolgimento nel Portus Julius (tra il Lucrino e l’Averno). … 
Fontane (tra cui quella costruita su pianta rettangolare con abside semicircolare, all’esterno), un sistema di condutture di scolo e di piscine servivano alle necessità degli uomini e delle bestie, allo smaltimento delle acque e alla pulizia degli ambienti.

… L’Anfiteatro Flavio fu voluto dall’imperatore Vespasiano, che aprì la dinastia dei Flavi, all’indomani della vittoria su Vitellio a termine della guerra civile, che vide schierarsi accanto al vincitore Puteoli e l’armata navale di Miseno. L’una e l’altra furono premiate dall’emergente dinastia imperiale. A Pozzuoli Vespasiano volle che venisse costruito un anfiteatro, anche se meno ampio, altrettanto stupendo del Colosseo. Vanto della colonia flavia puteolana, che ad ogni ingresso – maggiore o minore che fosse – fece scrivere:

COLONIA FLAVIA AUGUSTA

PUTEOLANA PECUNIA SUA

come si ricava dalla grande iscrizione e dai frammenti marmorei di altre uguali iscrizioni (minori). Del resto era bene che gli spettatori, specie quelli che venivano da fuori, sapessero che il denaro impiegato per costruire il monumentale edificio era stato sborsato dal popolo puteolano e dai fondi dei magistrati cittadini.

Gianni RACE "Baia Pozzuoli Miseno: L’IMPERO SOMMERSO"

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